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Pensano
che
sia
pazzo.
Ovvero,
non
che
sia
un
malato
di
mente
cronico,
ma,
insomma,
che
con
la
testa
non
ci
sta
proprio
tanto.
Solo
così
potrebbe
spiegare
il
suo
comportamento
solitario
e,
a
tratti,
bizzarro.
Sì,
perché
lui,
per
nascondere
la
sua
timidezza,
ha
degli
scatti
inconsulti
di
risa
(deve
essere
anche
nervoso)
che
sul
momento
lo
fanno
sentire
disinvolto,
poi,
un
codardo.
Insomma,
alla
fine,
è
più
frustrato
e
"matto"
di
prima.
Adesso,
è
appoggiato
sul
banco.
O,
perlomeno,
è
aggrappato
a
quella
mensola
liscia
di
formica
a
cui
pare
chiedere
aiuto:
-
Portami
fuori
di
qui
senza
che
nessuno
mi
veda.
Uno
non
può
fare
a
meno
di
sorridere
nel
vedere
la
sua
espressione
fiera
e
terrorizzata.
Dovrebbe
escogitare
un
espediente
per
fuggire
in
fretta...
Che
so,
sento
che
mio
nonno
sta
male...
No,
non
è
il
caso.
Ecco
quello
che
potrebbe
fare:
il
comico.
Avrebbe
già
una
schiera
di
spettatori
che
attendono
solo
il
permesso
di
aprire
la
bocca
e
di
gettargli
in
faccia
il
proprio
divertimento.
Invece,
nulla.
Con
passo
pesante
riesce
a
tirarsi
fuori
da
quella
stanza
grondante
di
umanità
disumana,
ed
è
finalmente
solo.
Lui
non
potrebbe
mai
fare
il
carabiniere.
Lui
sta
bene
così,
con
se
stesso.
Si
parla,
si
ascolta,
si
capisce.
E
si
fa
del
male.
Capita
quando,
la
sera,
se
ne
torna
a
casa.
Lungo
il
viale
è
tutto
un
susseguirsi
di
coppiette
avvinghiate.
Guarda
le
ragazze,
belle
ed
irraggiungibili,
come
fossero
delle
bambole.
Guarda
i
ragazzi
per
capire
cosa
abbiano
di
eccezionale
che
lui
non
ha.
A
dire
il
vero,
crede,
alla
sua
età
(è
un
uomo
di
trent'anni)
di
aver
maturato
un'importante
conclusione:
loro
paiono
felici
e
spensierati
perché
non
hanno
alcuna
remora
della
loro
pochezza,
lui
sì.
Si
mette
a
mille
miglia
da
loro,
come
se
la
natura
avesse
deciso,
dopo
duemila
anni,
di
creare,
un
essere
incompleto,
diverso.
Eppure,
è
felice.
Quando
è
solo,
e
non
sta
lì
a
chiedersi
perché
gli
altri
sì
e
lui
no.
Se
ne
va
sui
prati
a
distendersi
per
ore,
mentre
il
sole
tenta
di
annerire
la
sua
pelle
biancastra.
E
pensa,
soprattutto
sogna.
Che
so,
un
Paradiso
Terrestre
in
terra.
Lui,
in
una
grande
casa
in
mezzo
al
verde.
E
una
moglie
e
tanti
figli
che
vissero
felici
e
contenti.
Allora,
un
sorriso
si
scolpisce
sulle
sue
labbra,
sardonico.
È
il
suo
modo
di
ridere.
Ah!
Dimenticavo:
sogna
anche
tanti
animali
liberi.
Lui
adora
gli
animali.
Sua
zia
gli
diceva
che
con
il
carattere
che
si
ritrovava
poteva
andare
d'accordo
solo
con
le
bestie.
Loro
non
hanno
la
favella
per
risponderti
picche,
ma
si
dimenano
per
farti
capire
che
con
te
non
ci
vogliono
stare.
Solo
che
tu
le
costringevi,
stringendole
in
modo
che
non
potessero
sfuggirti.
Sul
sentiero
verso
la
Chiesa
lo
hanno
già
avvistato
Il
Matto:
«Al'è
il
mat
(è
il
matto)»
e
hanno
ridacchiato.
Eppure,
là
dietro,
nel
cimitero
trova
il
paese
che
non
ha
(avuto).
Gli
piace
scorrere
quelle
centinaia
di
fotografie
ad
imprimersi
quei
volti
e
quelle
vite
che
gli
sono
passate
accanto
senza
neppure
accorgersi.
Anche
sua
zia
era
"scomparsa"
così.
Un
giorno
di
tre
anni
fa,
era
entrato
nella
sua
stanza
e
l'aveva
trovata
addormentata.
E
diversa.
Senz'anima.
Da
un
giorno
all'altro
se
l'erano
portata
via
"come
conviene"
e
lui
non
aveva
più
rivisto
quel
volto.
Nemmeno
sua
zia
l'aveva
considerato
migliore.
Per
questo,
mentre
si
immaginava
di
trovare
un
amichetto
a
cui
sarebbe
rimasto
fedele
per
sempre
(ci
avrebbe
messo
la
mano
sul
fuoco),
una
goccia
fredda
di
sudore
gli
colava
sulla
schiena,
raggelandogli
ogni
fantasia.
No,
non
meritavano
nemmeno
un
matto
come
lui.
Ricordava
tanti
anni
fa,
quando
l'avevano
invitato
a
spogliarsi
con
chissà
che
assurda
fandonia.
Non
erano
le
loro
risa,
né
il
freddo
sul
suo
corpo,
ma
quella
sensazione
di
vuoto
e
il
dolore,
che
sarebbero
stati
la
sua
difesa
migliore.
Sta
nuovamente
sorridendo,
mentre
s'incammina
verso
il
paese.
Passa
l'autista
e
lo
saluta.
Con
rispetto.
Vorrebbe
crederlo.
Non
oggi.
Oggi
è
diverso.
Anche
l'autista
è
come
gli
altri.
Salutare
con
commiserazione
un
poveraccio
come
per
dire:
«Eh
sì,
tanto
io
sono
migliore».
O
come
un
atto
di
carità.
O
ancora:
»È
scemo,
me
è
meno
bastardo
degli
altri».
Risponde
al
saluto.
Poi,
dalla
sua
bocca
esce
spontaneo:
«Vaff...».
L'altro
si
volta,
sorpreso.
Il
matto
da
oggi
avrà
qualcun
altro
che
gli
romperà
le
scatole.
Non
importa.
In
paese,
stasera
c'è
una
sagra.
C'è
già
un
allegro
vocìo
che
anima
la
piazza.
E
ci
sono
anche
loro,
La
Legge,
quelli
che
che
per
due
voti
hanno
venduto
la
terra
di
suo
padre
alla
Mafia.
Eleganti,
fieri,
in
posa,
sono
perfetti
nella
loro
parte.
Per
un
attimo
si
sente
bruciare
gli
occhi.
Lui,
ora,
è
più
che
mai
fuori
luogo,
lì.
Lui
è
ciò
che
gli
altri
non
vorrebbero
essere,
un
emarginato
da
evitare
o
da
esorcizzare,
ridendo.
Li
vede
già
abbozzare
un
sorriso,
e
poi,
tanti
sorrisi
su
quei
volti,
su
quelle
vite
che
non
lo
sfioreranno
mai.
È
salito
sul
palco.
E
ha
cominciato
a
dimenarsi
(lui
non
può
sapere
ballare...).
Da
principio
qualcuno
ha
riso.
Ma
poi,
lui
ha
pensato
di
dare
spettacolo
(è
un
matto
patentato,
no?)
e
si
è
messo
a
saltare
e
a
fare
piroette
come
un
indemoniato.
Qualcuno
ha
smesso
di
ridere.
Cosa
stava
facendo
quello
scemo,
il
matto?
Il
brigadiere
con
mille
occhi
puntati
addosso,
ha
fatto
per
bloccarlo,
ma
poi
si
è
fermato
(si
può
arrestare
uno
sciocco?).
Così,
quella
sera
nessuno
era
al
suo
posto,
nessuno
era
felice.
Qualcuno
non
stava
recitando
il
suo
ruolo.
È
la
sua
serata
di
gloria.
La
musica
gli
ha
acceso
qualcosa
dentro.
Attorno
vede
tanti
volti
stupiti.
«Ecco,
ora
sono
di
nuovo
nudo,
è
così
che
mi
volete?»,
pare
dire.
Ma
ora
sono
loro
soli.
Non
capiscono.
«Mi
avete
fatto
male...
ero
un
uomo».
Romina
Matiz
-
Paularo
(Ud) |
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