Domenica, 14 Novembre 2004

Pensano che sia pazzo. Ovvero, ...

Pensano che sia pazzo. Ovvero, non che sia un malato di mente cronico, ma, insomma, che con la testa non ci sta proprio tanto. Solo così potrebbe spiegare il suo comportamento solitario e, a tratti, bizzarro. Sì, perché lui, per nascondere la sua timidezza, ha degli scatti inconsulti di risa (deve essere anche nervoso) che sul momento lo fanno sentire disinvolto, poi, un codardo. Insomma, alla fine, è più frustrato e "matto" di prima. Adesso, è appoggiato sul banco. O, perlomeno, è aggrappato a quella mensola liscia di formica a cui pare chiedere aiuto: - Portami fuori di qui senza che nessuno mi veda. Uno non può fare a meno di sorridere nel vedere la sua espressione fiera e terrorizzata. Dovrebbe escogitare un espediente per fuggire in fretta... Che so, sento che mio nonno sta male... No, non è il caso. Ecco quello che potrebbe fare: il comico. Avrebbe già una schiera di spettatori che attendono solo il permesso di aprire la bocca e di gettargli in faccia il proprio divertimento. Invece, nulla. Con passo pesante riesce a tirarsi fuori da quella stanza grondante di umanità disumana, ed è finalmente solo. Lui non potrebbe mai fare il carabiniere. Lui sta bene così, con se stesso. Si parla, si ascolta, si capisce. E si fa del male. Capita quando, la sera, se ne torna a casa. Lungo il viale è tutto un susseguirsi di coppiette avvinghiate. Guarda le ragazze, belle ed irraggiungibili, come fossero delle bambole. Guarda i ragazzi per capire cosa abbiano di eccezionale che lui non ha. A dire il vero, crede, alla sua età (è un uomo di trent'anni) di aver maturato un'importante conclusione: loro paiono felici e spensierati perché non hanno alcuna remora della loro pochezza, lui sì. Si mette a mille miglia da loro, come se la natura avesse deciso, dopo duemila anni, di creare, un essere incompleto, diverso. Eppure, è felice. Quando è solo, e non sta lì a chiedersi perché gli altri sì e lui no. Se ne va sui prati a distendersi per ore, mentre il sole tenta di annerire la sua pelle biancastra. E pensa, soprattutto sogna. Che so, un Paradiso Terrestre in terra. Lui, in una grande casa in mezzo al verde. E una moglie e tanti figli che vissero felici e contenti. Allora, un sorriso si scolpisce sulle sue labbra, sardonico. È il suo modo di ridere. Ah! Dimenticavo: sogna anche tanti animali liberi. Lui adora gli animali. Sua zia gli diceva che con il carattere che si ritrovava poteva andare d'accordo solo con le bestie. Loro non hanno la favella per risponderti picche, ma si dimenano per farti capire che con te non ci vogliono stare. Solo che tu le costringevi, stringendole in modo che non potessero sfuggirti. Sul sentiero verso la Chiesa lo hanno già avvistato Il Matto: «Al'è il mat (è il matto)» e hanno ridacchiato. Eppure, là dietro, nel cimitero trova il paese che non ha (avuto). Gli piace scorrere quelle centinaia di fotografie ad imprimersi quei volti e quelle vite che gli sono passate accanto senza neppure accorgersi. Anche sua zia era "scomparsa" così. Un giorno di tre anni fa, era entrato nella sua stanza e l'aveva trovata addormentata. E diversa. Senz'anima. Da un giorno all'altro se l'erano portata via "come conviene" e lui non aveva più rivisto quel volto. Nemmeno sua zia l'aveva considerato migliore. Per questo, mentre si immaginava di trovare un amichetto a cui sarebbe rimasto fedele per sempre (ci avrebbe messo la mano sul fuoco), una goccia fredda di sudore gli colava sulla schiena, raggelandogli ogni fantasia. No, non meritavano nemmeno un matto come lui. Ricordava tanti anni fa, quando l'avevano invitato a spogliarsi con chissà che assurda fandonia. Non erano le loro risa, né il freddo sul suo corpo, ma quella sensazione di vuoto e il dolore, che sarebbero stati la sua difesa migliore. Sta nuovamente sorridendo, mentre s'incammina verso il paese. Passa l'autista e lo saluta. Con rispetto. Vorrebbe crederlo. Non oggi. Oggi è diverso. Anche l'autista è come gli altri. Salutare con commiserazione un poveraccio come per dire: «Eh sì, tanto io sono migliore». O come un atto di carità. O ancora: »È scemo, me è meno bastardo degli altri». Risponde al saluto. Poi, dalla sua bocca esce spontaneo: «Vaff...».

L'altro si volta, sorpreso. Il matto da oggi avrà qualcun altro che gli romperà le scatole. Non importa. In paese, stasera c'è una sagra. C'è già un allegro vocìo che anima la piazza. E ci sono anche loro, La Legge, quelli che che per due voti hanno venduto la terra di suo padre alla Mafia. Eleganti, fieri, in posa, sono perfetti nella loro parte. Per un attimo si sente bruciare gli occhi. Lui, ora, è più che mai fuori luogo, lì. Lui è ciò che gli altri non vorrebbero essere, un emarginato da evitare o da esorcizzare, ridendo. Li vede già abbozzare un sorriso, e poi, tanti sorrisi su quei volti, su quelle vite che non lo sfioreranno mai. È salito sul palco. E ha cominciato a dimenarsi (lui non può sapere ballare...). Da principio qualcuno ha riso. Ma poi, lui ha pensato di dare spettacolo (è un matto patentato, no?) e si è messo a saltare e a fare piroette come un indemoniato. Qualcuno ha smesso di ridere. Cosa stava facendo quello scemo, il matto? Il brigadiere con mille occhi puntati addosso, ha fatto per bloccarlo, ma poi si è fermato (si può arrestare uno sciocco?). Così, quella sera nessuno era al suo posto, nessuno era felice. Qualcuno non stava recitando il suo ruolo. È la sua serata di gloria. La musica gli ha acceso qualcosa dentro. Attorno vede tanti volti stupiti. «Ecco, ora sono di nuovo nudo, è così che mi volete?», pare dire.

Ma ora sono loro soli. Non capiscono.

«Mi avete fatto male... ero un uomo».

Romina Matiz - Paularo (Ud)

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